Critica

L’arte di Gianfranco Fracassi

Presentazione critica di Stefano Bigazzi

Centinaia di pezzi realizzati in oltre sessant’anni di gelosa attività, nascosta ai piú. Non una mostra (nonostante ripetuti inviti), nessun tentativo di coinvolgere amici, conoscenti, un committente. Tutto da solo, e solo - o quasi - per sé.

Gianfranco Fracassi è stato artista ai margini di qualsiasi cenacolo, entourage, corrente artistica. Dilettante sarebbe poco, sebbene tale espressione sia indicativa del personaggio, che con l’arte si dilettava, o se si preferisce alla quale dedicava un sentimento totale pur non esclusivo.

La sua biografia ne è in qualche modo documento. Figlio di un imprenditore del legno, è indotto nel dopoguerra, per la morte del padre, a trovare presto un impiego (nell’industria del legno), dunque accantonando i progetti di inquieto studente universitario (Farmacia, poi Giurisprudenza), non quelli artistici certamente più autentici e appassionati. Del resto si esercita autodidatta dalla pubertà, senza cessare l’applicazione al disegno negli anni successivi, anzi, approfondendo temi e tecniche, studiando i maestri contemporanei e ricavando nel fluire delle correnti del Novecento spunti autonomi e originali. Ma a quanto pare è la scultura a procurargli maggiori emozioni, privilegiando - si potrebbe dire ovviamente - il legno, materiale familiare in tutti i sensi, conosciuto e praticato.

Come accennato si riconosce negli artisti che hanno segnato la storia dell’arte del secolo, da un lato accogliendone istanze e suggerimenti senza prostrarsi a un approccio scolastico imitativo, di mera copiatura, dall’altro sviluppando percorsi personali senza cercare quell’originalità a ogni costo che svilisce l’opera.

Ne sono testimonianza, tra i molti lavori - Fracassi fu prolifico autore, capace nella quantità di non trascurare l’aspetto qualitativo - taluni dipinti post cubisti, nei quali si scorgono Picasso e Braque, altri in cui è evidente il segno di Chagall o il movimento di Matisse, per citare alcuni esempi.

Ma anche Kandinsky, a rappresentare l’attenzione verso l’astrattismo. Sempre rispettando un dettato interiore che lo porta a una pittura in qualche modo intimista, segnata dal notevole distacco dell’artista rispetto al mondo reale circostante.

Le sue figure sono caratterizzate dall’idea di solitudine (da Mario Sironi a Edward Hopper), di rarefazione estrema del contesto in cui è colto il soggetto.

Personaggi spaesati, dall’espressione fissa e intensa al tempo stesso, come moto dell’animo. Ma al di là di qualsiasi apparenza questa di Fracassi fu pittura di artista capace di estinguere un furore interiore, narratore per immagini quale appare nella serie, probabilmente autobiografica, del “barbuto”, protagonista dalle sembianze contraffatte (la barba, appunto) in cui l’autore è anche attore. Un’Odissea mentale.

La scultura, poi, offre allo spettatore un paesaggio interiore assai più ricco e complesso: anche in questo caso gli spunti tratti dall’arte del Novecento sono palesi e anche in questo caso irrilevanti. Fracassi procede con vigore creativo, osserva ancora Picasso ma è probabilmente Henry Moore a offrirgli maggiori suggerimenti, in particolare sotto l’aspetto formale. Fracassi volge volentieri lo sguardo sull’esperienza dell’astratto e dell’informale, con la scultura ogni sua tensione ideale, culturale, estetica viene amplificata, e comincia a lavorare il legno mantenendo sempre viva una base concettuale come esperienza irrinunciabile.

Le figure, i gruppi, sono caratterizzati dall’esilità, dalla ovvia sottrazione della materia che in questo caso - come del resto era accaduto con la pittura - è funzionale alla scomposizione (quasi in senso futurista, cubista) in un processo plastico di rigoroso equilibrio compositivo. Secondo tale principio l’artista scava cesella e liscia per ottenere da un unico pezzo un risultato quanto maggiormente disarticolato.

Dunque la lezione di Moore è presente e viene rivisitata non tanto in chiave tribale quanto intimista, coerentemente con la visione espressa nei disegni maturi, nei dipinti.

Pertanto nelle sculture di Fracassi i personaggi sono isolati concettualmente dall’universo che li circonda, vivono un’esistenza separata, quasi l’autore volesse proiettarsi in esse. È come se lo scultore intendesse manifestare un

proprio eremitaggio spirituale, circondandosi di un mondo di cose animate cui affidare benevolmente la ricerca interiore.

Si è divertito - termine ingeneroso ma calzante - a tagliare, smussare e dare forma al legno, operazione che comporta attenzione (ogni errore può vanificare quanto operato) e impegno fisico, dato ultimo non trascurabile, per cui si sublima.

Ecco, è questa, in tali esiti, nelle sue sculture la ricchezza interiore di un uomo apparentemente tranquillo ma agitato da una sempre presente volontà creativa.

Tenuta spesso celata, non esibita, nel gentile riserbo di un uomo per cui l’arte era strumento essenziale ed esistenziale senza una preparazione accademica (che forse, con ogni senno di poi, ne avrebbe compromessola spontaneità e l’autenticità).

Una lacuna che lo ha indotto a non mostrarsi più di tanto in pubblico e al pubblico, ora correttamente colmata.